di Anna Terzi, mamma di Edoardo.
Quanto spesso? A volte, non tanto, beh forse un po’ di più. Davvero? Ok, quasi quotidianamente. Sicura? Va bene, sarò onesta, praticamente sempre. Per farla breve, da quando sono diventata mamma, mi pongo domande sulla genitorialità in modo i-n-c-e-s-s-a-n-t-e.
Quando sono centrata, riposata, fresca e rilassata, la risposta mi viene facile. La domanda muore sul nascere e il mio agire è affilato e diretto, chiaro e trasparente. Ma questo stato di calma è raro e non ha coinciso con i primi tredici mesi di vita del mio bambino. Certo, sono stati mesi pieni di gioia ma i cambiamenti che succedono all’arrivo di un bambino, un primogenito, sono imprevedibili e rivoluzionari a dir poco.
Tutto sembra scorrere nella direzione opposta alla calma e al relax. C’è la stanchezza delle notti spezzate. Ci sono i consigli di amiche, amici, nonni, zii, fratelli e sorelle. Ci sono gli sconosciuti al bancone del bar, le vicine di casa, quelli che ti mettono a posto la bici, insomma praticamente chiunque si propone come consigliere.
C’è la stanchezza, le emozioni, gli ormoni. Ci sono i libri, scritti da emeriti pediatri, pedagogisti, psicologhe e quant’altro, che dicono tutto e il contrario di tutto. C’è internet, l’oracolo più ambiguo che esista. Ci sono cartelloni pubblicitari che emergono dalla nebbia cittadina come miraggi fluorescenti e promettono lunghe e tranquille notti a madri stanche e affaticate, basta una settimana. C’è il non sapere e c’è il fare una cosa importantissima per la prima volta. E poi c’è il farne un’altra di cosa importantissima per la prima volta. E un’altra ancora.
Poi c’è il bambino, anche lui con i suoi umori, preferenze, golosità e un carattere tutto suo. E, per essere precisa, c’è anche il papà, con il suo di bagaglio. Infine c’è questa nuova comunità, la nostra piccola, giovane famiglia. Che non si conosce ancora tanto bene e che a volte sembrerebbe star su per miracolo.
Quindi in questo puzzle fatto di tanti tasselli di forme e colori differenti, trovare una via è un’impresa ardua. Mi sono spesso trovata confusa, delusa, sola, incerta. Il tutto accentuato dal momento storico di socialità limitata e dalla consapevolezza che non si può tornare indietro, una volta diventata mamma la sarò per sempre.
Essere madre per me è come navigare a vista su una barca con un carico prezioso durante una lunga tempesta. Essere bagnata fino all’osso ma tenere le mani salde sul timone, anche se non so dove sono diretta, anche se non so dove andrà l’imbarcazione. Non c’è tempo per pensare troppo, le onde sono alte, il cielo plumbeo. La pioggia fredda e aguzza. So solo che non mollerò il timone. Il dubbio però potrebbe insinuarsi se la tempesta perdurasse ancora a lungo. Poi d’un tratto ricordo che ho una bussola. La guardo. C’è una freccia che indica. La uso per navigare. La tempesta persiste e la pioggia è incessante. Gli ostacoli da affrontare sono grandi e sconosciuti ma io sono più serena. Ho una direzione.
La Casa Maternità è la mia bussola. Lo è stata durante la gravidanza, durante il parto e nei tredici mesi successivi. Continuerà ad esserlo mentre procedo sul cammino della genitorialità.
La frequenza alla Casa Maternità è cambiata nel tempo. All’inizio erano le visite mensili con le ostetriche, poi gli incontri settimanali per il corso di preparazione al parto, poi le ore del travaglio e del parto. Poi è cambiato il luogo e sono state le ostetriche a venire a casa mia. È iniziato il corso mamma/bambino in presenza in Casa Maternità e poi online, ogni settimana. Siamo poi passate nelle mani della pedagogista ed ora mi incontro, sempre online, con un gruppo di donne per un nuovo progetto chiamato “Mamme in Divenire”, questa volta mensilmente.
Insomma, cambia il luogo, cambia la figura di riferimento, cambia la frequenza.
Cambiamo noi, cambiano i nostri bimbi e cambiano le tematiche e le sfide.
Rimane però qualcosa. Rimane la bussola, rimane la direzione. Rimane la certezza di avere un punto di riferimento, qualcuno a cui domandare, sempre.
La Casa di Maternità, per me, c’è stata sempre. Che sia l’ostetrica o la pedagogista, c’è sempre qualcuna pronta all’ascolto e al confronto. Quante volte, durante i corsi o in consulenze private, mi sono rivolta a loro per le più svariate motivazioni: dalla prima febbre, alla prima caduta dal letto a questioni inerenti al sonno, all’allattamento, l’entrata o no al nido, come porre limiti, come ritrovare l’intimità con il mio compagno.
Le mie domande incontrano ascolto, mi vengono poste altre domande e, in una danza di ricerca, emerge qualcosa. Niente di definito, niente di tecnico, piuttosto emerge un sentire, una direzione, assolutamente unica perché modellata sulla nostra storia, la mia, del mio compagno e del bambino. Quello che vale per me, per altri potrebbe non valere.
Questa è la preziosità della relazione tra le famiglie e la Casa Maternità. È il ricevere supporto da professioniste che ti conoscono intimamente. Non solo mi hanno vista partorire, ma in un certo senso mi hanno vista nascere, mi hanno conosciuta prima che fossi madre. E questo vale anche per il papà e per il bimbo. È, in tutti i sensi, una relazione. Una comunicazione. Una comunità.
Essere genitori della Casa Maternità vuol dire fare parte di una comunità definita da un continuo scambio. Noi genitori troviamo sostegno, supporto, ascolto. Troviamo il luogo dove far nascere i nostri bambini, dove trovare linee guida su come accudirli e crescerli. La Casa Maternità a sua volta si espande, incorpora le esperienze delle nuove famiglie nella professionalità delle operatrici.
Essere genitori della Casa Maternità vuol dire instaurare un circolo virtuoso, dove a trarne beneficio siamo noi genitori di adesso, la Casa Maternità stessa e tutte quelle e quelli che verranno. È un atto rivoluzionario questa relazione, è un modo attivo per sostenere un sapere profondo che tutela i bisogni dei bambini, delle madri, delle donne, dei padri, delle famiglie e dunque della società. In un tempo dove lo status quo non ha nessuna lungimiranza e il futuro dei nostri figli è incerto con una crisi climatica non impellente ma già in atto da tempo, fare parte di una comunità che promuove l’ascolto, la resilienza, l’autocritica costruttiva ed il benessere delle nuove generazioni è un atto profondamente vitale.